Si è chiusa sabato 24 febbraio, al Museo diocesano S. Riccardo di Andria, la mostra “Aut – Obiettivo sulla neurodiversità”, promossa dalla Fondazione Pugliese per le Neurodiversità. Circa 1200 persone hanno visto le foto in bianconero scattate da Mirella Caldarone che ha colto la meraviglia, la quotidianità e la verità di momenti vissuti a stretto contatto con una parte dei ragazzi e delle ragazze neurodiverse della Fondazione per un intero anno. Una mostra curata minuziosamente dal dott. Sabino Liso che si è carattarizzata anche per le sue suggestioni ed interazioni.
«Fotografie scattate nel tempo lungo della relazione reciproca, della confidenza che nasce con la cura – commenta in prefazione al catalogo Silvana Kühtz, docente universitaria di Estetica e di Comunicazione -. Non sono affatto un reportage, sono una scrittura di emozioni che ci chiamano alla reciprocità, mai scontata, da cesellare con prudenza e attenzione. I gesti, i piccoli dettagli, la comunità e la singolarità sono afferrati dagli scatti di Mirella Caldarone, e ci dicono storie: ci ricordano che ognuno è una persona da conoscere, un mistero da scoprire».
«Lo sguardo degli oltre mille visitatori, desiderosi di raccontarmi le proprie emozioni difronte alle immagini, conferma la reciprocità dell’arte fotografica - commenta Mirella Caldarone -. L’osservatore, infatti, è il terzo occhio che, percependo il messaggio dell’autore, ne amplifica la portata con la propria percezione delle realtà evocate dalle fotografie. In questo sentire collettivo risiede il successo della mostra dalla duplice valenza: fotografia e impegno sociale. Due mondi che ispirano il mio sguardo. Due linguaggi, un unico mosaico. Ringrazio tutti gli attori di questo viaggio dentro l’umanità. Un ringraziamento speciale va alle famiglie dei ragazzi che mi hanno permesso di raccontare queste splendide variazioni umane».
Soddisfazione per il risultato raggiunto è stata espressa dall’avv. Francesco Bruno, presidente della Fondazione Pugliese per le Neurodiversità: «Abbiamo utilizzato egregiamente il linguaggio autoriale della fotografia per veicolare messaggi di inclusione, partendo però dalla consapevolezza dell’esistenza di una condizione che è quella dei nostri ragazzi. Ognuno con le sue forze, le sue debolezze e la sua unicità. È, questo, uno splendido racconto che abbiamo voluto proteggere. Una sorta di evento che, senza grandi clamori mediatici, ha raggiunto il cuore e il cervello di tante persone. Cuore e cervello, rappresentati nel logo della nostra Fondazione, a ricordarci la connessione, sempre necessaria, per leggere e operare nelle relazioni umane. Grazie, ai genitori dei nostri ragazzi, agli operatori, alla diocesi di Andria, allo sponsor unico CSA e a tutti coloro che a vario titolo hanno profuso energie per realizzare la mostra. Una mostra che, siamo certi, potrà suggestionare altri luoghi e altri visitatori».